In pochi anni in alcune aree delle Alpi le popolazioni di stambecchi sono diminuite notevolmente. In grande sofferenza e a rischio di scomparsa anche la pernice bianca.
Ce ne parla Luca Pedrotti, coordinatore scientifico del Parco Nazionale dello Stelvio e tecnico del Settore Grandi carnivori della PAT.
Tra gli aspetti più evidenti vi è un’alterazione dello stato della vegetazione, che sta mettendo a serio rischio molte specie di animali che non riescono ad adattarsi alla velocità con il quale il loro habitat sta mutando. Ci può spiegare cosa sta accadendo?
Aumentare le temperature significa creare condizioni ecologiche differenti e favorire la ricolonizzazione di determinate aree con specie meglio adattate a climi più caldi. E sulle Alpi questo porta le specie adattate ai climi più freddi a non trovare più le condizioni idonee per la vita e a rischiare la scomparsa. Ad esempio, il bosco e le piante arbustive stanno cominciando a svilupparsi a quote maggiori e a occupare zone in tempi passati destinate a praterie alpine. Il cambiamento delle temperature coinvolge anche modifiche climatiche in senso più ampio. Anche il regime delle piogge muta. Per le Alpi sono previsti scenari variabili a seconda delle varie zone, ma una tendenza generalizzata tende ad avere una variabilità molto più alta dei fenomeni piovosi, che significa avere alternanze non prevedibili di inverni molto secchi o molto nevosi. Con tali variazioni nelle temperature, inoltre, la vegetazione rinverdisce prima e in meno tempo durante la primavera. I ricercatori impegnati a studiare le popolazioni di stambecco ipotizzano che la forte diminuzione della specie nello storico Parco Nazionale del Gran Paradiso sia legata a questo. La vegetazione rinverdisce prima che le femmine diano alla luce i propri piccoli e, nelle fasi successive, l’erba da brucare non ha più le caratteristiche sufficienti a garantire un latte di elevata qualità per la buona sopravvivenza dei propri piccoli. Fenomeni simili riguardano anche gli insetti, ad esempio le api che vedo mutare rapidamente il periodo di fioritura per loro fondamentali per la produzione del miele. Se prendiamo poi in considerazione specie alpine fortemente legate a condizioni di freddo e di innevamento come la pernice bianca, la situazione si fa ancora più delicata e gli habitat idonei alla specie diventeranno sempre più esigui, quindi preziosi.
Parliamo di aree protette e conservazione. Grazie alla ricerca naturalistica abbiamo accumulato approfondite conoscenze in tanti campi. Oggi, a causa di una progressiva diminuzione degli stanziamenti da parte dello Stato, le aree protette hanno ridotto anche la ricerca naturalistica. Da coordinatore scientifico, come valuta queste restrizioni?
Le attuali restrizioni penso siano parte “naturale” del periodo di recessione economica che stiamo vivendo da parecchi anni. Quando molte famiglie sono in difficoltà e la politica non trova soluzioni adeguate, i temi e le problematiche che non interessano in modo immediato l’uomo sono le prime a subirne le conseguenze, in quanto non percepite come fondamentali. È però importante continuare a spiegare come la conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali non sia un lusso, ma un aspetto fondamentale per il benessere e la sopravvivenza dell’uomo. Il Ministero dell’Ambiente, ad esempio, ha recentemente dedicato un proprio capitolo di finanziamento dei Parchi Nazionali ad azioni di monitoraggio e conservazione della biodiversità, soprattutto in relazione ai mutamenti climatici in atto. E nel fare questo ha obbligato i Parchi a parlarsi per trovare soluzioni comuni e nuove sinergie. Il confronto e il lavoro di gruppo, per la ricerca e le conoscenze, sono fondamentali e i Parchi Nazionali alpini ora stanno lavorando assieme su questi temi.
Nelle Dolomiti abbiamo numerosi Parchi naturali che tutelano la biodiversità dei luoghi, ma siamo dell’avviso che sottoporre a misura di controllo anche delle aree libere costituirebbe un rifugio per molte specie animali e vegetali. Pensa che la nostra politica climatica sia incline a provvedere in questo senso?
Le visioni e i modelli che propongono vincoli e rinunce sono spesso poco popolari e graditi. E la velocità dei nostri tempi e delle politiche connesse certo non aiutano. Non sono in grado di valutare se siamo già pronti a questo passaggio, ma alla fine dovremo considerare esaurite la fase e la funzione delle aree protette. L’istituzione delle aree protette nasce come baluardo per salvare e conservare il poco rimasto e potersi permettere all’esterno quasi ogni cosa. Già oggi queste sono situazioni superate, ma non ve ne è la percezione. Tale differenza sarà eliminata quando la pianificazione territoriale ingloberà automaticamente e con convincimento le necessità di conservazione, valorizzazione e sviluppo di tutte le risorse naturali. E potremo farlo quando la sensibilità, il controllo e i comportamenti responsabili saranno la norma e saranno scritti come convincimenti profondi all’interno del nostro agire. Quindi sono dell’avviso che sottoporre a misure di controllo anche le “aree libere” sia importante, come del resto sarà indispensabile seguire questo processo virtuoso.
Di Sofia Brigadoi da Dolomiti Premiere
Foto di Felix Mittermeier da Pexels